sabato 21 maggio 2022

 IL LUNGO EQUIVOCO DELLA SINISTRA ITALIANA

Il discorso che intendo fare (una sorta di retro-storia del mio “ambiente politico”) si basa su un metodo indubbiamente non-scientifico, poiché sto cercando di ricostruire le radici culturali del “comunismo” (ed annessi e connessi) italiano sulla base delle imbarazzanti reazioni dell’area culturale autopercepentesi come “sinistra” di fronte ad un evento elementare come l’aggressione militare, a scopo di annessione, di un Paese indipendente.
L’attuale “sinistra”, quasi interamente ascrivibile alla risposta pacifista alla crisi in atto, si caratterizza principalmente per una bigotta (pre-illuministica) lettura etica della realtà politica (persino da parte di chi sta dalla parte “giusta”, a mio avviso, di questa risposta: mi ci metto, quindi, anch’io). La mera sottolineatura dell’ovvio, infatti (la dinamica aggredito-aggressore), va ora assumendo, a sinistra un colore predicatorio: quali che siano le origini (immaginate) dell’invasione, infatti, esse vengono percepite in termini di “colpa”, e mai di responsabilità e di conseguenze prevedibili. Mai si pensa all’ovvia domanda: “Qual è il nostro (della UE) interesse strategico (i.e., non tattico) nella faccenda?". Certo, tanto i liberali quanto i marxisti fanno bene a sottolineare la violazione da parte della Russia del (lasco, e non tutelato) diritto internazionale, però sarebbe opportuno che non riducessero (in fondo, e per fortuna, liberalismo e marxismo sono ideologie parimenti materialiste) il conflitto ad un conflitto di “valori”.
Se questa curiosa interpretazione (lo scontro fra pinzellacchere valoriali) è comprensibile sulla sponda liberale (sulla sponda ideale della sponda liberale, rectius), la cosa è assolutamente incomprensibile “a sinistra”, ammesso (e NON concesso) che la sinistra attuale abbia ormai qualcosa a che fare con il marxismo.
Alle volte, ho l’impressione che i “compagni” attuali non abbiano mai letto Marx (nemmeno il pur sloganistico “Manifesto”), e si siano piuttosto formati sull’Internazionale (nel senso della canzonetta), il cui incipit (“Su lottiam, l’ideale...”) avrebbe fatto rabbrividire chi riteneva che non siano le idee a costruire la realtà, ma la realtà le idee.
Un’altra bizzarria dell’attuale “sinistra” è il deviazionismo (ok, sono un provocatore) cristiano. Né i marxisti né le socialdemocrazie hanno mai posto al centro delle loro analisi “gli ultimi”, “la nuda vita”, “i dannati della terra”, bensì un “proletariato colto”, ovvero consapevole, erede della filosofia classica tedesca, e della tecnica potenziata dal capitale. Questo è forse il motivo per cui i sedicenti “comunisti” attuali non capiscono e/o non ricordano l’operaismo (quello non lo condivido [anche se lo capisco, ahimè] nemmeno io -- però è un’altra storia), ma vanno in brodo di giuggiole davanti a qualunque "banalità affettuosa" del papa. Di qualunque papa, eh. Per tacer del trash “francescano" (e dunque sottoproletario: nappista [omaggio autoironico ai fan dei Pooh], cavaniano, pasoliniano...).
È la triste sindrome dell’orfano (databile al 1989). Eppure Kant, e nel 1783!, poteva già scrivere, alla facciaccia (e ad immeritato beneficio) degli orfani-di-quel-che-passa: “L’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità di cui egli stesso è colpevole”.
In my humble opinion, siamo in una “guerra civile spagnola” globale, sul piano culturale, ed in questa battaglia liberali e comunisti an-etici (cioè razionali; quelli spiritisti se ne vadano pure all’inferno) sono dalla stessa parte, o, quantomeno, parlano la stessa lingua, mentre “il resto del mondo” va errando stupidamente in cerca di una nuova religione in grado di sostituire la prosaica, rude realtà.

sabato 26 agosto 2017

Mafia & "nazionalismo internazionalista"

La curiosa caratteristica della mafia (delle mafie) è un ossimorico mix: il rispetto rituale di regole arcaiche legate alla *famiglia* e agli atavismi territoriali (il "controllo del territorio" ha una luuunga storia, pre-tanzaniana) & la capacità di agire su un piano internazionale: Calabria & Colombia fanno un buon matrimonio, e lanciano il loro bouquet alla Lombardia, che lo afferra prontamente: niente di personale; sono solo affari. Non me ne stupisco né me ne scandalizzo. In fondo, il capitalismo, mitologicamente parlando, vive appunto nel καιρός, nella capacità di cogliere il "momento giusto" (per agire).

Quel che è interessante (e umoristico), in questa faccenda, è la sinergia tra familismo primitivo e orizzonte globale. Forse - o, almeno, io credo che le cose stiano così -, il "nazionalismo" (un ferrovecchio di due secoli fa) e l'identitarismo sono solo formule ideologicamente adeguate alla spartizione gangsteristica del "territorio mondiale" di sfruttamento.

Gli archeo-fascisti sono contenti (conservano Padre Pio, la Chiesa ortodossa, e la purezza razziale: boliviano-bergamasca, s'intende :), mentre i neo-fascisti "de sinistra" (???) possono scagliarsi fancazzisticamente contro "le banche" cosmopolitiche (e pure un po' ebraiche :).

Ma non c'è niente da fare: quando un po-pollo incontra la realtà armato soltanto di favole, beh, quel po-pollo è un po-pollo morto. Darwin rulez.


domenica 6 agosto 2017

Minniti e l'"estremismo umanitario"

L'incredibile sintagma "estremismo umanitario" (diamo a Cesare quel che è di Cesare) è stato coniato - pare - da Francesco La Licata sulla "Stampa", ma è stato prontamente (e curiosamente: ricordo una posizione diametralmente opposta, di Giuliano Ferrara e del "Foglio", in occasione delle polemiche seguite alle vaghe affermazioni di Zuccaro) ripreso da Cerasa, sul "Foglio", nonché, quel che è peggio, da quell'infame testa di cazzo fascista di Minniti (PD, eh), che, non pago dell'eliminazione di un grado di giudizio per i ricorsi dei migranti (non poteva aspettare l'anno prossimo, per festeggiare l'80° anniversario delle leggi razziali?), ora stila un "regolamento" per ostacolare chi sta facendo il necessario lavoro che l'Italia in parte fa(ceva?) e che la UE non fa.

Ma dicevamo dell'ossimoro: "estremismo umanitario". In genere, all'estremismo viene associata una caratteristica contraria: l'inumanità, la barbarie, il disprezzo per la vita degli innocenti. L'arguto Minniti invece si pasce di un misterioso ircocervo, per il quale si può essere "troppo umani", cioè troppo poco inumani.

Ora, non sono mai stato interessato alla reductio ad ethicam (in senso positivo o negativo) dell’immigrazione: questa curiosa deformazione mentale è appannaggio di chi usa il termine “buonismo” (cartina di tornasole del ritardo mentale profondo). Si soccorre chi rischia di morire in mare perché ci sono delle leggi internazionali e nazionali che lo impongono. Period.  Si soccorrono i lavoratori migranti perché sono appunto lavoratori (né gli “ultimi” della retorica evangelica né i visigoti della retorica fascioleghista), e quindi, come noi tutti, gente che tiene in piedi la baracca. Period. Il ridicolo “cattivismo” dell’“esercito dei senza-palle”, dei “servi rivoluzionari” (servi con i loro padroni e rodomonti con chi sta peggio di loro, ma solo tramite forze dell’ordine: il senza-palle ulula inoperosamente alla posta e in pizzicheria, ma striscia in fabbrica e in ufficio, ed è pericoloso, militarmente, quanto un uovo di Pasqua), dimostra solo una cosa: che il disagio sociale non sa trasformarsi in proposta politica, e quindi (more solito) diventa piagnisteo e invocazione della legge di Lynch.

Purtroppo, a fronte di una necessità vera di rifondazione politica, in Italia non esiste più né una destra liberale autentica (l’u-turn del “Foglio” sui migranti è un brutto sintomo su quello che sarà la coalizione di cdx) né una sinistra non dico comunista o socialista, ma nemmeno socialdemocratica --- che dico?, nemmeno new Labour o clintoniana! Il campo è interamente occupato da partiti personali e populisti (PD compreso, a questo punto: grazie, Minniti), che, ok (fortunatamente), non manterranno nessuna delle sciagurate promesse (su UE e migranti in primis) che ammanniscono al po-pollo, ma che (anche per questo) si troveranno a navigare a vista, sperando in dio (o, più concretamente, nella ripresa dell’economia mondiale).

Forse (forse) non saremo seriamente danneggiati dall’isteria po-pollista, ma certo, la sconteremo, e la stiamo già scontando, con l’incapacità di esprimere un ceto amministrativo degno della sua funzione.


Soluzioni? Non ce ne sono. Nemmeno il “vaccino” di montanelliana memoria, come dimostra l’ennesima resurrezione di Berlusconi.

domenica 23 luglio 2017

Musulmani e Muselmänner

Con il termine Muselmänner (musulmani), nel gergo di Auschwitz, si indicavano i prigionieri che erano stati "demoliti" dal regime del Lager, che erano arrivati ad escludersi dalla comunità umana, a privarsi di ogni emozione, fino al punto di "dimenticare" persino le funzioni primarie (la ricerca del cibo). Di loro, così scrive Primo Levi:

«La loro vita è breve, ma il loro numero è sterminato; sono loro, i Muselmänner, i sommersi, il nerbo del campo; loro, la massa anonima, continuamente rinnovata e sempre identica, dei non-uomini che marciano e faticano in silenzio, spenta in loro la scintilla divina, già troppo vuoti per soffrire veramente. Si esita a chiamarli vivi: si esita a chiamar morte la loro morte, davanti a cui essi non temono perché sono troppo stanchi per comprenderla. Essi popolano la mia memoria della loro presenza senza volto, e se potessi racchiudere in una immagine tutto il male del nostro tempo, sceglierei questa immagine che mi è familiare: un uomo scarno, dalla fronte china e dalle spalle curve, sul cui volto e nei cui occhi non si possa leggere traccia di pensiero».

Qualcuno potrebbe fiduciosamente credere che questa condizione fosse dovuta alle condizioni imposte ai prigionieri dai nazisti. Ma Muselmann può non essere solo la vittima. Bruno Bettelheim, internato (in quanto ebreo) a Dachau e a Buchenwald nel 1938 (in tempi "migliori", rispetto a quelli di Levi) e liberato grazie all'interessamento di Eleanor Roosevelt, suggerisce di ampliare oltre le vittime la geografia di questo monstrum post-umano:

«Anche se la [...] morte fisica [di Höss, il comandante di Auschwitz giustiziato in Polonia nel 1947] doveva avvenire soltanto più tardi, a partire dal momento in cui assunse il comando di Auschwitz, egli divenne un cadavere vivente. Non era un musulmano, perché era ben nutrito e ben vestito. Ma si era completamente spogliato del rispetto di sé e dell’amor proprio, di ogni sentimento e di ogni personalità, fino a non essere più che una macchina di cui i superiori manovravano i bottoni di comando».

E ora veniamo ai musulmani propriamente detti, ovvero (per la sudicia destra italiana) ai migranti, nel loro insieme. Vorrei provare a disegnare una carta di quel che sta accadendo (e che è già accaduto):

1. La depressione economica. Probabilmente, siamo alla fine di questa fase, ma la ripresa, specie in Italia, è (quasi) una jobless recovery.

2. La nazionale ignoranza (basata sul meccanismo del capro espiatorio) circa i motivi del ritardo italiano, che sono ovviamente italiani, ha determinato una crescita del nazionalismo, ici ma anche (con meccanismi diversi) altrove, in Europa.

3. L'antieuropeismo "anti-mondialista" (il vocabolario è genuinamente fascista) si va saldando intorno al problema (che sarebbe anche e soprattutto un'opportunità, se gestito da umani non bisognosi di pannoloni e di istruzione primaria) delle migrazioni, a destra e a "sinistra" (anche questa funesta mescolanza evoca brutti ricordi).

4. La perdita dei diritti civili, per le più svariate ragioni (l'emergenza terrorismo in Francia e negli USA, la semplice deriva fascista in Ungheria e in Polonia), viene ormai percepita (stupidamente, ed è inutile spiegare perché) come la liberazione dai "lacci e lacciuoli" che impediscono il ristabilimento di un ordine perduto e che (fortunatamente) non sarà mai ritrovato.

5. I musulmani, in questa "diabolica" congiuntura) costituiscono il "bersaglio" perfetto del suicidio omicidiario della civiltà europea: sono "stranieri", non sono cristiani, sono potenzialmente "terroristi" e (soprattutto?) sono "negri". La loro distruzione (c'è anche chi parla apertamente di "soluzione finale") è l'esorcismo al quale tutta l'Europa plebea (sottoproletaria, priva di coscienza di classe, e dunque di dignità di soggetto storico) sta "lavorando". Difficile dire con quali possibilità di "successo": UK, Olanda, Francia e Austria sembrano aver concesso una tregua. Ma che dire del Paese padre del fascismo? Che dire dell'Italia sansepolcrista (m5s) e genuinamente fascista (LN, FdI e buona parte dell'elettorato di FI)?

Il nesso fra un quadro strutturale oggettivo (la crisi economica) e l'impotenza intellettuale di opposizioni (generiche) che si pretendono "di sistema" (in realtà legate a una distopica nostalgia di età mai apparse sul pianeta) ha determinato la "musulmanizzazione" (cioè, la morte “del rispetto di sé e dell’amor proprio, di ogni sentimento e di ogni personalità”) delle masse, ben nutrite (o comunque meglio nutrite che altrove), che sfogano, in piazza o in rete, pulsioni omicide, razziste, segregazioniste, fasciste, di fronte alle quali non è ormai possibile tacere, non per ragioni morali (roba ovvia, che una buona spranga sistemerebbe, fosse solo quello il problema), ma perché questo universale conato di vomito sta producendo in concreto un deragliamento dalle regole minime della "democrazia borghese" che certo continua ad essere una "democrazia di classe", ma che il buon senso - coadiuvato da una (apparentemente) diffusa cultura - dovrebbe saper distinguere dalla (e preferire alla) barbarie di massa. La c.d. "Europa dei popoli" è solo l'Europa di Höss. Prima ce ne renderemo conto (efficacemente: con la repressione poliziesca del fascismo montante), meglio sarà.

venerdì 23 giugno 2017

I volenterosi portavoce dell'ISIS

Al di là dell'ingiustificato ottimismo del titolo del suo articolo (Come battere i terroristi: magari bastassero i suoi consigli!), mi pare che Rovelli abbia perfettamente ragione: il terrorismo islamico è un pericolo militare in Iraq, Afghanistan, Israele, Pakistan, ma non certo in Europa, dove resta sì un grave problema, ma esclusivamente politico-criminale (lo scontro è militare, ovviamente, ma il danno militare che finora gli scimuniti jihadisti sono riusciti ad infliggere alla UE è zero: nel 2016, su una popolazione di mezzo miliardo di persone, ci sono stati circa 600 morti). Naturalmente, scopo del terrorismo è terrorizzare (se non è in grado di creare un contropotere), e gli attentati di ISIS e/o AQ in Europa ottengono tale risultato (anche) grazie all'enfasi che su questi ripugnanti (e incredibilmente stupidi) delitti pongono i media (per ragioni professionali, ma anche politiche) e politici (soprattutto populo-fascisti, ma ormai il pagante morbo securitarista dilaga in tutto l'arco costituzionale, e naturalmente anche oltre). Ragion vorrebbe che si togliesse quest'arma collaterale a quegli assassini, ma "Libero", "il Giornale", Salvini, Meloni, Grillo --- tutta 'sta robaccia col terrorismo ci campa, e (in democrazia) non si possono mettere a tacere nemmeno i babbei e gli sciacalli. Tuttavia, chi non è né sciacallo né babbeo e opera nel settore della comunicazione o della politica dovrebbe porsi una domanda, quando parla di attentati: come minimizzare il risultato dell'attacco nemico? E la risposta logica dovrebbe essere: minimizzando il terrore e lasciando spazio non all'horror, ma all'informazione e all'analisi. Buon senso contro i supernatural wankers :)

giovedì 15 giugno 2017

Sulla violenza politica

Il recente caso di James T. Hodgkinson, l'attivista di sinistra che ha sparato, ferendolo gravemente, al repubblicano Steve Scalise, ripropone, fra i sepolcri imbiancati, il tema della violenza politica, o, meglio, del terrorismo politico (che è bene scindere dal terrorismo islamico, se non altro perché gli estremisti politici di ogni matrice, almeno, hanno obiettivi umani, e quindi sono automaticamente meno fessi di chi si ammazza e ammazza in nome di spettri e favole).

Il mio pensiero in materia è an-etico, e molto semplice.

a) Il terrorismo (sembra bizzarro ricordarlo) è illegale, nei mezzi e (sovente) nei fini.

b) Chi non condivide i mezzi e i fini di specifici atti terroristici, torni al punto 1 e si fermi lì. Il problema è risolto.

c) Chi condivide *i fini* (ed è sistematicamente agnostico sui mezzi, come me) di uno specifico atto terroristico (ad es., il ferimento di Scalise) - posto questi fini consistano nel liberare gli USA dal predominio di un mediocre clown sicuramente mentitore e forse addirittura "traditore" (= venduto agli interessi di un paese terzo) - deve porsi una domanda: il mezzo (lo specifico atto terroristico) è commisurato al fine?

Ora, nel caso di Hodgkinson, la domanda posta al punto c) ha una risposta univoca: al di là delle cianfrusaglie etiche, Hodgkinson ha compiuto, rispetto ai suoi fini, un atto stupido e controproducente, visto che il sistema stesso (i checks and balances USA funzionano egregiamente, molto meglio dei nostri) stava già procedendo ad espellere il cancro.

E' tutto molto semplice. Il gesto di Hodgkinson è un crimine per chi non ne condivide i fini, e un'idiozia (e quindi un crimine, con l'aggravante dell'inopportunità politica) per chi (come me) li condivide.

Detto questo, meritano una menzione (ma meriterebbero più che altro una minzione) i tanti difensori strappacore del dialogo contro l'odio, della legalità contro la violenza. Porgo loro un cordiale vaffanculo. Trump e le fogne come lui (Le Pen, Salvini, Orban, Kaczinsky etc.) sull'odio ci campano: è il loro strumento di lavoro. Trump ha venduto odio contro gli immigrati messicani, contro i musulmani, e persino (è un arseface raffinato, a modo suo) l'élite di cui è parte integrante. Beh, cari miei, l'odio (sentimento che, se razionale, è comunque assolutamente rispettabile) si evoca facilmente, ma poi è mooolto difficile rimetterlo a dormire. Surprise!

lunedì 12 giugno 2017

Elogio di Andropov



Friends, Romanscountrymen, non intendo certo lodare il ruolo svolto dal compagno  Ю́рий Влади́мирович Андро́пов nel 1956 ungherese (anzi: 'sto stronzo se sarebbe meritata 'na lezione a suon di spranga-katanga). Quello che dell'anthropos Andropov mi attira, nella palude post-razionale che siamo curiosamente abituati a chiamare contemporaneità, è la sana noia che Andie ispira(va), la totale assenza di carisma personale *e* creativo (magari egregiamente sostituito da un'efficienza, in materia di catena di comando, à la Vito Corleone; ma questa è un'altra storia) che lo caratterizzava.

Andropov era la struttura che lo esprimeva, e non c'è - né c'era - nulla di insano in questo, poiché Andropov non conteneva fisicamente (con il suo corpo, le sue smorfie, la sua presenza scenica, le sue idiosincrasie retoriche) un sistema politico, ma ne era interprete, da funzionario (= uno che sa che cazzo sta facendo). Era (ed è) possibile (doveroso?) criticare la struttura che lo ha espresso, ma la "prosopopea" della nomenklatura era sanamente irrilevante. E questa irrilevanza era un elemento di progresso intellettuale persino in un sistema rivelatosi (Putin docet) fallimentare.

Non posso che pormi una domanda oziosa (è questo, ormai, il ruolo degli umanisti? :) : non stiamo forse assistendo, più che alla sepoltura delle differenze ideologiche fra destra e sinistra, al sacrificio di ideologemi storici (forse obsoleti, ma meritevoli, a dx e a sx, di analisi e non di disinformati anatemi) in nome di qualcosa di molto peggiore della mitica "ideologia dogmatica" (singolare occulto, quando si parla di "fine delle ideologie")? L'incarnazione mistica dei "sentimenti del popolo" (due cazzate mitologiche in tre parole: l'innocente è "del") in un singolo uomo (spesso ritardato; e c'è una logica, in tutto ciò) è forse meno "fascista" (il capo-maschio "è", mentre il popolo-femmina "partecipa", "fecondato" dalla mera presenza seminalis del dux) se riguarda Putin piuttosto che Trump, Renzi piuttosto che Macron, Le Pen (una prece e un mio personale "vaffanculo, stronza!") piuttosto che Orban? 

La "società civile" implica, se non altro a livello etimologico, una civitas, cioè una communitas giuridicamente ordinata, che è il solo soggetto della politica, in quanto fonte di discorso articolato. Quando la pluralità si nasconde in un super-ometto, significa (IMHO) che la communitas è molto ristretta, quantitativamente e altimetricamente. Sono sette, e nani.