sabato 26 agosto 2017

Mafia & "nazionalismo internazionalista"

La curiosa caratteristica della mafia (delle mafie) è un ossimorico mix: il rispetto rituale di regole arcaiche legate alla *famiglia* e agli atavismi territoriali (il "controllo del territorio" ha una luuunga storia, pre-tanzaniana) & la capacità di agire su un piano internazionale: Calabria & Colombia fanno un buon matrimonio, e lanciano il loro bouquet alla Lombardia, che lo afferra prontamente: niente di personale; sono solo affari. Non me ne stupisco né me ne scandalizzo. In fondo, il capitalismo, mitologicamente parlando, vive appunto nel καιρός, nella capacità di cogliere il "momento giusto" (per agire).

Quel che è interessante (e umoristico), in questa faccenda, è la sinergia tra familismo primitivo e orizzonte globale. Forse - o, almeno, io credo che le cose stiano così -, il "nazionalismo" (un ferrovecchio di due secoli fa) e l'identitarismo sono solo formule ideologicamente adeguate alla spartizione gangsteristica del "territorio mondiale" di sfruttamento.

Gli archeo-fascisti sono contenti (conservano Padre Pio, la Chiesa ortodossa, e la purezza razziale: boliviano-bergamasca, s'intende :), mentre i neo-fascisti "de sinistra" (???) possono scagliarsi fancazzisticamente contro "le banche" cosmopolitiche (e pure un po' ebraiche :).

Ma non c'è niente da fare: quando un po-pollo incontra la realtà armato soltanto di favole, beh, quel po-pollo è un po-pollo morto. Darwin rulez.


domenica 6 agosto 2017

Minniti e l'"estremismo umanitario"

L'incredibile sintagma "estremismo umanitario" (diamo a Cesare quel che è di Cesare) è stato coniato - pare - da Francesco La Licata sulla "Stampa", ma è stato prontamente (e curiosamente: ricordo una posizione diametralmente opposta, di Giuliano Ferrara e del "Foglio", in occasione delle polemiche seguite alle vaghe affermazioni di Zuccaro) ripreso da Cerasa, sul "Foglio", nonché, quel che è peggio, da quell'infame testa di cazzo fascista di Minniti (PD, eh), che, non pago dell'eliminazione di un grado di giudizio per i ricorsi dei migranti (non poteva aspettare l'anno prossimo, per festeggiare l'80° anniversario delle leggi razziali?), ora stila un "regolamento" per ostacolare chi sta facendo il necessario lavoro che l'Italia in parte fa(ceva?) e che la UE non fa.

Ma dicevamo dell'ossimoro: "estremismo umanitario". In genere, all'estremismo viene associata una caratteristica contraria: l'inumanità, la barbarie, il disprezzo per la vita degli innocenti. L'arguto Minniti invece si pasce di un misterioso ircocervo, per il quale si può essere "troppo umani", cioè troppo poco inumani.

Ora, non sono mai stato interessato alla reductio ad ethicam (in senso positivo o negativo) dell’immigrazione: questa curiosa deformazione mentale è appannaggio di chi usa il termine “buonismo” (cartina di tornasole del ritardo mentale profondo). Si soccorre chi rischia di morire in mare perché ci sono delle leggi internazionali e nazionali che lo impongono. Period.  Si soccorrono i lavoratori migranti perché sono appunto lavoratori (né gli “ultimi” della retorica evangelica né i visigoti della retorica fascioleghista), e quindi, come noi tutti, gente che tiene in piedi la baracca. Period. Il ridicolo “cattivismo” dell’“esercito dei senza-palle”, dei “servi rivoluzionari” (servi con i loro padroni e rodomonti con chi sta peggio di loro, ma solo tramite forze dell’ordine: il senza-palle ulula inoperosamente alla posta e in pizzicheria, ma striscia in fabbrica e in ufficio, ed è pericoloso, militarmente, quanto un uovo di Pasqua), dimostra solo una cosa: che il disagio sociale non sa trasformarsi in proposta politica, e quindi (more solito) diventa piagnisteo e invocazione della legge di Lynch.

Purtroppo, a fronte di una necessità vera di rifondazione politica, in Italia non esiste più né una destra liberale autentica (l’u-turn del “Foglio” sui migranti è un brutto sintomo su quello che sarà la coalizione di cdx) né una sinistra non dico comunista o socialista, ma nemmeno socialdemocratica --- che dico?, nemmeno new Labour o clintoniana! Il campo è interamente occupato da partiti personali e populisti (PD compreso, a questo punto: grazie, Minniti), che, ok (fortunatamente), non manterranno nessuna delle sciagurate promesse (su UE e migranti in primis) che ammanniscono al po-pollo, ma che (anche per questo) si troveranno a navigare a vista, sperando in dio (o, più concretamente, nella ripresa dell’economia mondiale).

Forse (forse) non saremo seriamente danneggiati dall’isteria po-pollista, ma certo, la sconteremo, e la stiamo già scontando, con l’incapacità di esprimere un ceto amministrativo degno della sua funzione.


Soluzioni? Non ce ne sono. Nemmeno il “vaccino” di montanelliana memoria, come dimostra l’ennesima resurrezione di Berlusconi.

domenica 23 luglio 2017

Musulmani e Muselmänner

Con il termine Muselmänner (musulmani), nel gergo di Auschwitz, si indicavano i prigionieri che erano stati "demoliti" dal regime del Lager, che erano arrivati ad escludersi dalla comunità umana, a privarsi di ogni emozione, fino al punto di "dimenticare" persino le funzioni primarie (la ricerca del cibo). Di loro, così scrive Primo Levi:

«La loro vita è breve, ma il loro numero è sterminato; sono loro, i Muselmänner, i sommersi, il nerbo del campo; loro, la massa anonima, continuamente rinnovata e sempre identica, dei non-uomini che marciano e faticano in silenzio, spenta in loro la scintilla divina, già troppo vuoti per soffrire veramente. Si esita a chiamarli vivi: si esita a chiamar morte la loro morte, davanti a cui essi non temono perché sono troppo stanchi per comprenderla. Essi popolano la mia memoria della loro presenza senza volto, e se potessi racchiudere in una immagine tutto il male del nostro tempo, sceglierei questa immagine che mi è familiare: un uomo scarno, dalla fronte china e dalle spalle curve, sul cui volto e nei cui occhi non si possa leggere traccia di pensiero».

Qualcuno potrebbe fiduciosamente credere che questa condizione fosse dovuta alle condizioni imposte ai prigionieri dai nazisti. Ma Muselmann può non essere solo la vittima. Bruno Bettelheim, internato (in quanto ebreo) a Dachau e a Buchenwald nel 1938 (in tempi "migliori", rispetto a quelli di Levi) e liberato grazie all'interessamento di Eleanor Roosevelt, suggerisce di ampliare oltre le vittime la geografia di questo monstrum post-umano:

«Anche se la [...] morte fisica [di Höss, il comandante di Auschwitz giustiziato in Polonia nel 1947] doveva avvenire soltanto più tardi, a partire dal momento in cui assunse il comando di Auschwitz, egli divenne un cadavere vivente. Non era un musulmano, perché era ben nutrito e ben vestito. Ma si era completamente spogliato del rispetto di sé e dell’amor proprio, di ogni sentimento e di ogni personalità, fino a non essere più che una macchina di cui i superiori manovravano i bottoni di comando».

E ora veniamo ai musulmani propriamente detti, ovvero (per la sudicia destra italiana) ai migranti, nel loro insieme. Vorrei provare a disegnare una carta di quel che sta accadendo (e che è già accaduto):

1. La depressione economica. Probabilmente, siamo alla fine di questa fase, ma la ripresa, specie in Italia, è (quasi) una jobless recovery.

2. La nazionale ignoranza (basata sul meccanismo del capro espiatorio) circa i motivi del ritardo italiano, che sono ovviamente italiani, ha determinato una crescita del nazionalismo, ici ma anche (con meccanismi diversi) altrove, in Europa.

3. L'antieuropeismo "anti-mondialista" (il vocabolario è genuinamente fascista) si va saldando intorno al problema (che sarebbe anche e soprattutto un'opportunità, se gestito da umani non bisognosi di pannoloni e di istruzione primaria) delle migrazioni, a destra e a "sinistra" (anche questa funesta mescolanza evoca brutti ricordi).

4. La perdita dei diritti civili, per le più svariate ragioni (l'emergenza terrorismo in Francia e negli USA, la semplice deriva fascista in Ungheria e in Polonia), viene ormai percepita (stupidamente, ed è inutile spiegare perché) come la liberazione dai "lacci e lacciuoli" che impediscono il ristabilimento di un ordine perduto e che (fortunatamente) non sarà mai ritrovato.

5. I musulmani, in questa "diabolica" congiuntura) costituiscono il "bersaglio" perfetto del suicidio omicidiario della civiltà europea: sono "stranieri", non sono cristiani, sono potenzialmente "terroristi" e (soprattutto?) sono "negri". La loro distruzione (c'è anche chi parla apertamente di "soluzione finale") è l'esorcismo al quale tutta l'Europa plebea (sottoproletaria, priva di coscienza di classe, e dunque di dignità di soggetto storico) sta "lavorando". Difficile dire con quali possibilità di "successo": UK, Olanda, Francia e Austria sembrano aver concesso una tregua. Ma che dire del Paese padre del fascismo? Che dire dell'Italia sansepolcrista (m5s) e genuinamente fascista (LN, FdI e buona parte dell'elettorato di FI)?

Il nesso fra un quadro strutturale oggettivo (la crisi economica) e l'impotenza intellettuale di opposizioni (generiche) che si pretendono "di sistema" (in realtà legate a una distopica nostalgia di età mai apparse sul pianeta) ha determinato la "musulmanizzazione" (cioè, la morte “del rispetto di sé e dell’amor proprio, di ogni sentimento e di ogni personalità”) delle masse, ben nutrite (o comunque meglio nutrite che altrove), che sfogano, in piazza o in rete, pulsioni omicide, razziste, segregazioniste, fasciste, di fronte alle quali non è ormai possibile tacere, non per ragioni morali (roba ovvia, che una buona spranga sistemerebbe, fosse solo quello il problema), ma perché questo universale conato di vomito sta producendo in concreto un deragliamento dalle regole minime della "democrazia borghese" che certo continua ad essere una "democrazia di classe", ma che il buon senso - coadiuvato da una (apparentemente) diffusa cultura - dovrebbe saper distinguere dalla (e preferire alla) barbarie di massa. La c.d. "Europa dei popoli" è solo l'Europa di Höss. Prima ce ne renderemo conto (efficacemente: con la repressione poliziesca del fascismo montante), meglio sarà.

venerdì 23 giugno 2017

I volenterosi portavoce dell'ISIS

Al di là dell'ingiustificato ottimismo del titolo del suo articolo (Come battere i terroristi: magari bastassero i suoi consigli!), mi pare che Rovelli abbia perfettamente ragione: il terrorismo islamico è un pericolo militare in Iraq, Afghanistan, Israele, Pakistan, ma non certo in Europa, dove resta sì un grave problema, ma esclusivamente politico-criminale (lo scontro è militare, ovviamente, ma il danno militare che finora gli scimuniti jihadisti sono riusciti ad infliggere alla UE è zero: nel 2016, su una popolazione di mezzo miliardo di persone, ci sono stati circa 600 morti). Naturalmente, scopo del terrorismo è terrorizzare (se non è in grado di creare un contropotere), e gli attentati di ISIS e/o AQ in Europa ottengono tale risultato (anche) grazie all'enfasi che su questi ripugnanti (e incredibilmente stupidi) delitti pongono i media (per ragioni professionali, ma anche politiche) e politici (soprattutto populo-fascisti, ma ormai il pagante morbo securitarista dilaga in tutto l'arco costituzionale, e naturalmente anche oltre). Ragion vorrebbe che si togliesse quest'arma collaterale a quegli assassini, ma "Libero", "il Giornale", Salvini, Meloni, Grillo --- tutta 'sta robaccia col terrorismo ci campa, e (in democrazia) non si possono mettere a tacere nemmeno i babbei e gli sciacalli. Tuttavia, chi non è né sciacallo né babbeo e opera nel settore della comunicazione o della politica dovrebbe porsi una domanda, quando parla di attentati: come minimizzare il risultato dell'attacco nemico? E la risposta logica dovrebbe essere: minimizzando il terrore e lasciando spazio non all'horror, ma all'informazione e all'analisi. Buon senso contro i supernatural wankers :)

giovedì 15 giugno 2017

Sulla violenza politica

Il recente caso di James T. Hodgkinson, l'attivista di sinistra che ha sparato, ferendolo gravemente, al repubblicano Steve Scalise, ripropone, fra i sepolcri imbiancati, il tema della violenza politica, o, meglio, del terrorismo politico (che è bene scindere dal terrorismo islamico, se non altro perché gli estremisti politici di ogni matrice, almeno, hanno obiettivi umani, e quindi sono automaticamente meno fessi di chi si ammazza e ammazza in nome di spettri e favole).

Il mio pensiero in materia è an-etico, e molto semplice.

a) Il terrorismo (sembra bizzarro ricordarlo) è illegale, nei mezzi e (sovente) nei fini.

b) Chi non condivide i mezzi e i fini di specifici atti terroristici, torni al punto 1 e si fermi lì. Il problema è risolto.

c) Chi condivide *i fini* (ed è sistematicamente agnostico sui mezzi, come me) di uno specifico atto terroristico (ad es., il ferimento di Scalise) - posto questi fini consistano nel liberare gli USA dal predominio di un mediocre clown sicuramente mentitore e forse addirittura "traditore" (= venduto agli interessi di un paese terzo) - deve porsi una domanda: il mezzo (lo specifico atto terroristico) è commisurato al fine?

Ora, nel caso di Hodgkinson, la domanda posta al punto c) ha una risposta univoca: al di là delle cianfrusaglie etiche, Hodgkinson ha compiuto, rispetto ai suoi fini, un atto stupido e controproducente, visto che il sistema stesso (i checks and balances USA funzionano egregiamente, molto meglio dei nostri) stava già procedendo ad espellere il cancro.

E' tutto molto semplice. Il gesto di Hodgkinson è un crimine per chi non ne condivide i fini, e un'idiozia (e quindi un crimine, con l'aggravante dell'inopportunità politica) per chi (come me) li condivide.

Detto questo, meritano una menzione (ma meriterebbero più che altro una minzione) i tanti difensori strappacore del dialogo contro l'odio, della legalità contro la violenza. Porgo loro un cordiale vaffanculo. Trump e le fogne come lui (Le Pen, Salvini, Orban, Kaczinsky etc.) sull'odio ci campano: è il loro strumento di lavoro. Trump ha venduto odio contro gli immigrati messicani, contro i musulmani, e persino (è un arseface raffinato, a modo suo) l'élite di cui è parte integrante. Beh, cari miei, l'odio (sentimento che, se razionale, è comunque assolutamente rispettabile) si evoca facilmente, ma poi è mooolto difficile rimetterlo a dormire. Surprise!

lunedì 12 giugno 2017

Elogio di Andropov



Friends, Romanscountrymen, non intendo certo lodare il ruolo svolto dal compagno  Ю́рий Влади́мирович Андро́пов nel 1956 ungherese (anzi: 'sto stronzo se sarebbe meritata 'na lezione a suon di spranga-katanga). Quello che dell'anthropos Andropov mi attira, nella palude post-razionale che siamo curiosamente abituati a chiamare contemporaneità, è la sana noia che Andie ispira(va), la totale assenza di carisma personale *e* creativo (magari egregiamente sostituito da un'efficienza, in materia di catena di comando, à la Vito Corleone; ma questa è un'altra storia) che lo caratterizzava.

Andropov era la struttura che lo esprimeva, e non c'è - né c'era - nulla di insano in questo, poiché Andropov non conteneva fisicamente (con il suo corpo, le sue smorfie, la sua presenza scenica, le sue idiosincrasie retoriche) un sistema politico, ma ne era interprete, da funzionario (= uno che sa che cazzo sta facendo). Era (ed è) possibile (doveroso?) criticare la struttura che lo ha espresso, ma la "prosopopea" della nomenklatura era sanamente irrilevante. E questa irrilevanza era un elemento di progresso intellettuale persino in un sistema rivelatosi (Putin docet) fallimentare.

Non posso che pormi una domanda oziosa (è questo, ormai, il ruolo degli umanisti? :) : non stiamo forse assistendo, più che alla sepoltura delle differenze ideologiche fra destra e sinistra, al sacrificio di ideologemi storici (forse obsoleti, ma meritevoli, a dx e a sx, di analisi e non di disinformati anatemi) in nome di qualcosa di molto peggiore della mitica "ideologia dogmatica" (singolare occulto, quando si parla di "fine delle ideologie")? L'incarnazione mistica dei "sentimenti del popolo" (due cazzate mitologiche in tre parole: l'innocente è "del") in un singolo uomo (spesso ritardato; e c'è una logica, in tutto ciò) è forse meno "fascista" (il capo-maschio "è", mentre il popolo-femmina "partecipa", "fecondato" dalla mera presenza seminalis del dux) se riguarda Putin piuttosto che Trump, Renzi piuttosto che Macron, Le Pen (una prece e un mio personale "vaffanculo, stronza!") piuttosto che Orban? 

La "società civile" implica, se non altro a livello etimologico, una civitas, cioè una communitas giuridicamente ordinata, che è il solo soggetto della politica, in quanto fonte di discorso articolato. Quando la pluralità si nasconde in un super-ometto, significa (IMHO) che la communitas è molto ristretta, quantitativamente e altimetricamente. Sono sette, e nani.

martedì 16 maggio 2017

Marx e il "sistema socialista"

Nelle Glosse marginali di K. Marx al "Manuale di economia politica" di A. Wagner, pubblicate nel primo numero (I, 1, 1963, pp. 115-126) di "Critica marxista", si leggono le seguenti (solo apparentemente) sorprendenti parole:
"Secondo il signor Wagner, la teoria del valore di Marx è 'la pietra angolare del suo sistema socialista' (p. 45). Poiché io non ho mai costruito un 'sistema socialista', questa è dunque una fantasia di Wagner, Schäffle e tutti quanti(p. 115).
(NB: L'espressione "tutti quanti" è in italiano, nel testo di Marx, quindi il corsivo non è una sottolineatura). Ora, queste glosse, secondo la nota editoriale, sono "l'ultimo lavoro economico di Marx", e risalgono al 1881-1882 (dunque a uno o due anni prima della sua morte; in realtà, mi pare di aver letto questa stessa osservazione nei Grundrisse, ma magari mi sbaglio), e dunque costituiscono una testimonianza importante. Naturalmente, qui il buon Karl probabilmente intendeva semplicemente dire che non esiste un "sistema socialista di analisi dell'economia", poiché l'economia è un fatto fisico, oggettivo, che può essere solo descritto in modo efficace o inefficace. Tuttavia, io credo che sia possibile leggere questo appunto anche in un altro senso (unsurprising, per i frequentatori del Nostro), ovvero come la certificazione di una carenza marxiana: Marx spese tutta la sua vita a descrivere "lo stato di cose presente" e la sua necessaria transitorietà, ma la "forma concreta" della società senza classi e senza Stato gli era quasi perfettamente sconosciuta, ed è sconosciuta anche a noi, nonostante un secolo di "socialismo reale". Il che costituisce, dopo la fine di questo, il punto debole di ogni futuro del socialismo, poiché l'utopia (Marx docebat) è velleitaria, e una tendenza senza road map e meta è insensata: servirebbe un progetto. La rivolta (il populismo contemporaneo) vince sulla rivoluzione appunto *perché* non offre soluzioni legate al futuro, ma solo un U-turn verso un mal noto passato idillico (che tale ovviamente non era) - la moneta e lo Stato nazionale - di cui il presente sarebbe una "corruzione" dovuta ad agenti "mondialisti" (e qui parte proprio la brocca con le sciocchezze su Soros, il Club Bilderberg, la massoneria, gli ebrei, etc.). Il "Which side are you on?" corre lungo questa linea: progetto possibile (politicamente e "militarmente") o raglio alla luna passibile di utilizzo da parte delle peggiori forze reazionarie?

lunedì 24 aprile 2017

Le radici fasciste e antisemite del pensiero economico grillino

Scrive il compagno Lo Galbo, (dal cui post fb traggo anche la foto infra): 


"Beppe Grillo con Giacinto Auriti, celebre missino che negli anni '60 sfruttava la propaganda anti-banche a fini fascisti, e da cui Grillo eredita l'immane stronzata del reddito di cittadinanza, il complottismo del signoraggio bancario (nel caso di Auriti, il discorso assumeva tinte espressamente antisemitiche), la sovranità monetaria e a quattro mani col quale firmava il canovaccio di 'Apocalisse morbida' già nel '98". I fasci vanno naturalmente fieri di questo discepolato, e sono quasi seccati che un parassita delle loro idee (del cazzo) le faccia fruttare elettoralmente meglio di quanto abbiano mai saputo fare loro. Ma la cosa veramente raccapricciante di questa "strana coppia", costituita da un sedicente ecologista-onestista e da un demente sostenitore della "moneta popolare" (refuso: si dice po-pollare), è l'art. che linko qui, che, oltre ad essere chiaramente il frutto di uno malata, è anche antisemita, in modo decisamente radicale e ripugnante. Tout se tient. Il fascismo torna continuamente ed ossessivamente sul luogo del delitto. E trova sempre nuovi complici.

domenica 12 marzo 2017

Cari compagni napoletani...



Troppe chiacchiere, troppi inutili casini e pochi risultati. Io, compagni, seguirei il saggio consiglio di Theodore Roosevelt: "Speak softly and carry a big stick". Qui habet aures audiendi audiat (Mt 11, 15; 13,9; Mc 4,9) .

giovedì 26 gennaio 2017

De bello civili

Gli ultimi eventi internazionali (Trump & Brexit) sono stati preceduti e seguiti da una lunga guerra civile simulata, combattuta con infamie e menzogne (il presunto Alzheimer della Clinton, gli hacker russi, i mitologici 390 mln "perduti" dal NHS) e con recriminazioni di sapore (comprensibilmente) eversivo. Trump, però, sfortunatamente, ha vinto legittimamente le elezioni, sia pure con una minoranza di voti, e, se gli inglesi si sono lasciati infinocchiare da balle tanto semplici da smontare, beh, era loro diritto farsi prendere per il culo. Non intendo certo invitare alla pacificazione (sono naturaliter estremista, e, in fondo, la guerra, come dice Clausewitz non è che un ramo della politica), tanto più che l'elezione di un POTUS ritardato e i fremiti patetico-nazionalisti dell'ex-impero (e non solo) fanno davvero prudere le mani anche a gente più accomodante di me (e non oso pensare a catastrofi quali l'elezione di un presidente francese fascista o il costituirsi di un parlamento dominato dal sansepolcrismo). Ovviamente, dalla parte opposta, le cose vanno peggio: la pulsione al forcone è consustanziale alla destra, da Titta Ruffo in qua. Tuttavia, anche se la violenza come strumento politico non (mi) pone particolari problemi morali, essa esige un costo, che si può ben pagare, ma solo ed esclusivamente in presenza di obiettivi "cartesiani", ovvero chiari e distinti. In un momento come questo, caratterizzato dal deserto ideologico e teorico, una guerra civile scatenata (poniamo) da un improvviso peggioramento della situazione economica dovuto alle spinte protezionistiche (anche se, fortunatamente, la Cina si sta dimostrando più marxianamente "borghese" dell'olim "mondo libero") potrebbe determinare, sì, una guerra, ma solo una guerra priva di scopo, "guidata" - si fa per dire - solo dall'odium omnium erga omnes. Ergo, ne farei volentieri a meno (ma non mi tirerò indietro, se del caso, anche se, presumibilmente, mi beccherò la prima pallottola vagante). In questa prospettiva, il primo compito di un'opposizione globale antifascista è un compito strategico, cioè, in definitiva, organizzativo-militare: il "ciò che non siamo, ciò che non vogliamo" può bastare alla Vandea (al sottoproletariato funzionale, insomma), ma non ai liberali, né (tanto meno!) ai socialisti e ai comunisti. Ite. Missa est :)